9° Tappa BLOG TOUR | “Il Creasogni” di Simone Toscano

Salve a tutti, ragazzi!
Oggi, ho il piacere di ospitare la nona tappa del blogtour dedicato a “Il Creasogni” il libro d’esordio di Simone Toscano.
Il blogtour è iniziato l’11 luglio e si concluderà il 3 agosto e, se seguirete il regolamento e commenterete ogni tappa lasciando la vostra mail, potrete avere la possibilità di vincere una delle sei copie messe in palio dall’autore.
Mi raccomando, non lasciatevi sfuggire questa fantastica opportunità!

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1. Commentare tutte le tappe del blogtour lasciando la vostra email.

2. Mettere ‘Mi piace’ alla pagina Facebook del libro “Il Creasogni

3. Unirsi ai Lettori fissi dei blog aderenti all’iniziativa, incluso questo.

4. Condividere tutte le tappe sui vostri social.

5. I vincitori dei due giveaway verranno estratti tramite random (saranno pubblicati i video nella tappa del 3 agosto).

ghirigoroTornando a noi, però, la mia tappa è quella legata al primo capitolo di questo libro.
Per quanto proviamo a negare, il primo capitolo di un libro gioca un ruolo fondamentale, quando ci troviamo a dover scegliere se continuare o meno la nostra lettura. Certo, magari andando avanti la storia prende una piega talmente diversa dall’inizio da indurci a mettere da parte il primo capitolo, ma la verità è solo una: se quelle prime pagine non ci coinvolgono abbastanza, il più delle volte si passa ad altro.
Ecco, di conseguenza, un estratto del primo capitolo de Il Creasogni.

ghirigoro

La vita a Mangiatrecase

“Lo faccia intenso e avvolgente, mi raccomando! Lo vorrei vivido, pieno di colori, ecco…e stavolta cerchi di stare attento ai tempi perchè l’ultimo era troppo breve. Ah, veda poi di metterci dentro anche un incontro, con degli sguardi. E che siano speciali, di quelli in cui ti imbatti quando meno te l’aspetti…”
“Ho capito, ho capito… Non si preoccupi, vedrà che sarà tutto perfetto”, rispose quello muovendo appena le labbra quasi nascoste da una barba incolta. “Non deve insegnarmi lei il mestiere, signora. Si fidi di me per una volta, mi lasci lavorare in pace e vedrà che non se ne pentirà. In fondo, l’ho sempre accontentata, mi pare… Però, glielo ripeto, si deve fidare, altrimenti non andiamo lontano.

Era esigente Edmira Battistelli: ogni volta arrivava con il suo martellante incalzare e con l’ennesima lista di caratteristiche esageratamente dettagliate. Era fatta così. E provava a controllare gesti e comportamenti di chiunque le capitasse a tiro. In ogni attimo della giornata era pronta ad affondare il colpo, come se lo imporre richieste al prossimo le desse sollievo. In tanti rinunciavano a resisterle, e finivano con l’alzare le mani al cielo e chinare la testa, dandole ragione. Ma non questa volta: finalmente aveva trovato qualcuno in grado di darle battaglia e raccogliere quella sfida mai ufficialmente dichiarata, vuoi perché spinto dal desiderio di non dargliela vinta, vuoi per provare a metterla – finalmente – a tacere. Impresa ardua. «Deve essere stretto e soleggiato, ma non troppo, con un po’ di brezza, che però non mi scompigli troppo i capelli…». Continuava a snocciolare «particolari importanti da inserire lì dentro», uno dopo l’altro, come se stesse parlando del lavoro più facile al mondo. E ogni volta storcendo il naso al momento di pagare.

CREASOGNI definitivo_Layout 1Eppure Ettore – anzi, il «SignorEttore», come lo chiamavano i compaesani di Mangiatrecase – i soldi richiesti per i suoi prodigi li valeva eccome, perché nel suo mestiere non aveva rivali, unico com’era al mondo in quell’arte: il solo a essere in grado di dare vita ai sogni e di farli arrivare a chiunque decidesse; di crearli, nel vero senso della parola, modellandoli con le mani e con la mente, nello stesso modo in cui un artigiano, seduto al tornio, lavora a un vaso di creta. E così stava facendo quel giorno con la signora Battistelli.

Immaginarli e renderli vivi per gli altri era al contempo un piacere e un castigo, per chi come lui con i sogni aveva sempre avuto un rapporto tempestoso: dapprima, giovane paladino della razionalità con la sua aria di saccente sufficienza, li aveva ignorati e aveva persino deriso chi, al suo fianco, ne aveva bisogno e se ne riempiva gli occhi e la mente, nutrendone il proprio amore. Poi, con gli anni e le delusioni della vita – e del cuore – ne aveva scoperto il fascino magnetico, e aveva cercato di recuperare il tempo perduto senza sognare, senza amare a pieno. Scoperta tardiva, perché – dopo avere visto il suo sogno più importante svanirgli tra le mani – si era ritrovato a non essere più capace di sognare in prima persona, quasi fosse una punizione del cielo per ricordargli continuamente gli errori di un tempo, il suo essere stato così cieco e cinico di fronte a chi, invece, alla razionalità preferiva vite oniriche, pensieri e viaggi con la fantasia. Era il suo fardello, questa sua impotenza dilaniante e irrecuperabile. Un macigno, pesante come il rimorso di un ti amo non detto per tempo. 

L’incapacità di sognare lo aveva sorpreso una domenica d’inverno. Nevicava, come non faceva da anni oramai. Se ne accorse di colpo, quando il respiro gli venne a mancare. Si guardò intorno, chiuse gli occhi. Capì. E ne ebbe subito paura. Quella stessa sera, nel letto, si rese conto dell’antipodico arrivo di quel peculiare «dono» che stavolta avrebbe cambiato non la sua, di vita, ma quella degli altri: era la capacità di realizzare i sogni, i più avvolgenti e intensi che mai si fossero immaginati. A lui, ora, spettava il compito di crearli. Come fossero pane, da impastare per gli affamati. Come acqua. Servita però da un cameriere perennemente assetato.

creasogni-fraseI suoi sogni Ettore li «faceva» in una bottega affacciata sulla strada principale di Mangiatrecase. Un cortile e quattro stanze, che erano anche la sua abitazione, con un letto piazzato di fronte alla finestra accanto alle scale, «perché al di là dei vetri c’è quello di cui ho più bisogno per pensare: c’è il cielo, senza limiti». Viveva in quella casa da sempre. Quanto fosse poi di preciso quel «sempre» nessuno avrebbe saputo dirlo, ma le anziane in paese lo ricordavano dalla notte dei tempi, come fosse un monumento. Come la fontana, il viottolo o la chiesa, che se ne stanno lì, immobili, mentre tutto passa. I conti si perdono con il passare dei decenni, ma ognuno – nei racconti di famiglia – aggiungeva un particolare: e così c’era chi rammentava di averlo visto arrivare a cavallo, di notte; chi vestito con l’abito da cerimonia, di mattina, e chi con le tasche vuote e un coltellaccio tra i denti, allo scoccare del mezzogiorno. E anche sul suo aspetto di un tempo le versioni cambiavano di continuo, viaggiando tra sponde opposte: Raniero giurava che fosse biondo «come la gente del nord» e secco allampanato; Giuliana non aveva dubbi, «era bello come il sole, con il naso alla greca, i capelli corti e – altro che biondi – neri come la pece». Fatto sta che oramai quasi più nessuno ricordava con esattezza quale aspetto avesse quando si era trasferito a Mangiatrecase. Ora i suoi capelli erano bianchi come la neve e gli occhi, che «da giovane cambiavano colore a seconda della giornata e dello stato d’animo», erano adesso bicolori: uno verde, acqua di fiume, l’altro grigio, quasi velato.
Entrambi, però, imperscrutabili.

ghirigoroNon so voi, ma a me questo libro ha colpito fin dalle primissime pagine.
Non solo è incredibilmente fresco, ma è una di quelle letture che si adattano davvero a chiunque.
L’avete letto? Avete intenzione di leggerlo? Fatemi sapere!
Nel frattempo vi lascio la mia recensione.

CALENDARIONon perdetevi la decima tappa del nostro mega blog tour su Relitto e Fastigio. 🙂

 

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Michela Belli
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Michela Belli

sto iniziando davvero a trovare la trama di questo libro geniale.
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Marianna Di Lorenzo
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sempre piu intrigante non c’è che dire
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Come si dice,il buongiorno si vede dal mattino 🙂 [email protected]

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credo di essere iscritto a tutti i blog..per sicurezza sto facendo un giro di tutti i blog per controllare

Alessandra Passarello
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Interessante il primo capitolo…[email protected]

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Concordo!

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